ACCERTAMENTI FISCALI E PREVIDENZIALI

Inps, circolare n. 140 del 2 agosto 2016

23-08-2016

In via generale, i controlli sostanziali dell’Amministrazione Finanziaria sono realizzati mediante accessi, ispezioni o verifiche presso i contribuenti, mediante questionari o con la convocazione del contribuente presso l’ufficio (“invito al contraddittorio”, accompagnato dalla determinazione induttiva dei ricavi e dei compensi).
A seguito delle verifiche effettuate, l’Amministrazione Finanziaria, sulla base degli elementi istruttori acquisiti, notifica al contribuente la pretesa tributaria divenuta definitiva tramite avviso di accertamento contenente l’indicazione della maggiore base imponibile e della maggiore imposta. Se il contribuente intende impugnare l’atto di accertamento, potrà presentare ricorso alla Commissione tributaria provinciale competente. Se intende invece aderire all’accertamento, potrà versare quanto dovuto in unica soluzione o mediante dilazione di pagamento in rate trimestrali (art. 8 D. Lgs. n. 218/1997, come sostituito dall’art. 2, c. 2 D. Lgs. n. 159/2015). Il maggior reddito accertato, o comunque accettato dal debitore, rileva anche ai fini previdenziali. Gli atti relativi ad accertamenti totalmente o parzialmente insoluti saranno oggetto di apposita segnalazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria all’Inps, il quale provvederà al recupero tramite emissione di avvisi di addebito che conterranno, oltre al maggior contributo definito nell’atto di accertamento, anche le sanzioni calcolate in applicazione del regime sanzionatorio previsto dalla L. n. 388/2000, art. 116, c. 8, lett. b).
I contribuenti che ricevono avvisi di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria hanno, tuttavia, anche l’opportunità, se rinunciano a instaurare un contenzioso in sede giurisdizionale, di ridefinire la pretesa tributaria e/o di ottenere una riduzione delle sanzioni tramite, alternativamente, presentazione di proposta di mediazione, definizione della controversia in contradditorio tramite accertamento con adesione, accettazione dell’atto (“acquiescenza”).
Al fine di deflazionare il contenzioso in seno alle commissioni tributarie, con il comma 12 dell’art. 39 D.L. n. 98 del 6.07.2011 è stata introdotta per i contribuenti la possibilità di risolvere le liti giudiziarie con l’Agenzia delle Entrate, di valore non superiore a 20.000 euro, già pendenti alla data del 31.12.2011. La norma, precisa l’Inps, consente di definire tutte le liti fiscali aventi per oggetto tributi originati da avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, che presuppongono la rettifica delle dichiarazioni dei redditi; tuttavia, l’istituto in esame non assume rilevanza rispetto alle originarie pretese dell’Amministrazione fiscale, ma semplicemente consente la definizione agevolata del processo tributario mediante il versamento di una somma forfettaria di 150 euro per valori di lite fino a 2.000 euro e in percentuale variabile dal 10 al 50% per importi tra 2.000 e 20.000 euro.
Per effetto di quanto appena esposto, non può ritenersi che la definizione della lite nella modalità in trattazione determini la quantificazione di un reddito inferiore rispetto a quello oggetto dell’accertamento. Quindi, in relazione agli accordi di chiusura agevolata delle liti fiscali pendenti, gli stessi non avranno efficacia sulle azioni di recupero promosse dall’Istituto, il quale procederà alla riscossione degli importi da versare a titolo di contributi calcolati sull’intero ammontare originariamente accertato. In definitiva, i contributi richiesti dall’Istituto con avviso di addebito (o cartella esattoriale) non dovranno essere oggetto di annullamento (sgravio) e dovranno essere versati dal contribuente per l’intero ammontare originariamente quantificato dall’Agenzia delle Entrate.

 

 

 

 

Fonte: Il Sole 24Ore, 05.08.2016, p. 32