CONTROLLI SUL PC E LEGITTIMITA' DEL LICENZIAMENTO

Corte d'Appello di Roma, sentenza dell'11 marzo 2019

09-08-2019

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata l’11.03.2019 ha statuito che il dipendente che durante l'orario di lavoro navighi sistematicamente in rete per scopi personali frammenta la giornata lavorativa in modo tale da compromettere significativamente la corretta esecuzione dei propri compiti, ledendo irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il datore di lavoro e rendendo quindi legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato dall’azienda anche se il comportamento del lavoratore è stato scoperto controllando il personal computer per un virus presente nel sistema.

La dipendente ha impugnato il licenziamento sostenendo che il controllo effettuato dal datore di lavoro sul traffico informatico fosse avvenuto in violazione dello statuto dei lavoratori.

Secondo la Corte d’appello non può dirsi illegittimo il controllo eseguito dal datore di lavoro si ritrovi costretto a compiere le necessarie verifiche per tutelare il proprio patrimonio in un momento peraltro successivo alla commissione delle condotte del dipendente.

In particolare esorbita dal campo di applicazione delle norme richiamate dal lavoratore il caso in cui il datore di lavoro ponga in essere verifiche atte ad accertare un comportamento illecito del dipendente, laddove le stesse traggano origine non certo dalla volontà di monitorare l’esecuzione delle mansioni, bensì dal propagarsi all’interno dei sistemi aziendali di un virus informatico.

Superato il nodo relativo alla legittimità del controllo, la Corte esamina la conclusione del Tribunale in base a cui il licenziamento per giusta causa era illegittimo poiché comminato in relazione a una condotta per la quale né il Ccnl applicato, né il codice disciplinare aziendale prevedevano esplicitamente la sanzione espulsiva.

Al riguardo, afferma la Corte d’appello, viene in rilievo la nozione legale di giusta causa, intesa come «ipotesi in cui il lavoratore sia colpevole di mancanze relative a doveri anche non richiamati in particolare nel contratto, ma che siano così gravi da non consentire la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto». Ebbene, proseguono i giudici, è evidente come l’intenzionale, sistematica e durevole navigazione web a scopi personali sia certamente in grado di ledere in modo definitivo il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.

Infatti un simile comportamento vale a incidere in modo significativo sulla continuità della messa a disposizione delle energie lavorative cui il dipendente è contrattualmente tenuto, «svilendo simmetricamente la qualità dei compiti eseguiti»