E' LEGITTIMO REGISTRARE I COLLEGHI PER DIFENDERSI

Corte di Cassazione, sentenza n. 11322 del 10 maggio 2018

21-05-2018

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11322/2018, statuisce che è illegittimo il licenziamento comminato al dipendente che registra e filma delle conversazioni dei colleghi a loro insaputa, senza diffonderle all’esterno, per poter tutelare la propria posizione lavorativa.

La vicenda traeva origine da un ricorso presentato da un impiegato di una compagnia assicurativa che veniva licenziato per aver consegnato all’azienda, in sede di contestazione disciplinare, una chiavetta USB contenente delle registrazioni di conversazioni tra colleghi sul posto di lavoro, ignari di essere ripresi e ascoltati.

La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, riteneva il provvedimento illegittimo, in quanto sproporzionato ai fatti contestati. Per tale motivo, condannava la società a risarcire il lavoratore con un’indennità pari a 15 mensilità.

La Corte di Cassazione, discostandosi dai due precedenti gradi di giudizio, ha stabilito che il trattamento dei dati personali può essere eseguito anche in assenza del consenso dei diretti interessati, qualora sia finalizzato a difendere un diritto in sede giudiziaria o a svolgere delle investigazioni difensive.

Tale facoltà è ammessa solo per la tutela giurisdizionale di un diritto e per il tempo strettamente necessario.

Nel caso in esame, gli ermellini ritengono applicabile suddetta deroga, posto che il lavoratore aveva registrato i colloqui, all’insaputa dei colleghi, per tutelare il proprio diritto in sede di contestazione disciplinare e per precostituirsi una prova per un’eventuale sede giudiziaria. Per di più, quest’ultimo aveva posto in essere tutte le cautele necessarie a prevenire la diffusione delle informazioni raccolte e non utilizzava per altri fini il contenuto delle registrazioni.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso dell’impiegato, ha dichiarato sia la legittimità della condotta del lavoratore, poiché non ritiene integrato né l’illecito penale né l’illecito disciplinare, sia l’applicazione della tutela reintegratoria del dipendente, posto che l’insussistenza del fatto prevista all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente, ma non illecito.