MALATTIA PROFESSIONALE: DECORRENZA DELLA PRESCRIZIONE

Corte di Cassazione, sentenza n. 9802 del 26 maggio 2020

12-06-2020

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 9802 del 26 maggio 2020, ribadisce che il momento da cui decorre la prescrizione del diritto del lavoratore al risarcimento del danno nell'ambito delle malattie professionali è quello in cui l'interessato abbia avuto consapevolezza dell'esistenza della malattia e della sua origine professionale, da intendersi, però, nei termini oggettivi della sua conoscibilità, a prescindere dagli aspetti soggettivi inerenti al grado di conoscenza e cultura effettivi del danneggiato.

La vicenza riguarda un macchinista e manutentore di elettromotrici morto per mesotelioma pleurico i cui eredi hanno ricorso in Cassazione avverso una sentenza della Corte d'appello di Venezia che aveva dichiarato prescritto il loro diritto al risarcimento del danno.

Ribaltando la sentenza del Tribunale, i giudici di secondo grado avevano statuito che “la prescrizione decennale decorre dal momento in cui il lavoratore ha potuto acquisire la piena consapevolezza non solo della malattia, con un danno alla salute apprezzabile, ma anche dell'origine professionale della stessa indipendentemente da valutazioni meramente soggettiva a lui ascrivibili”, e, per conseguenza, avevano escluso che la conoscibilità dell'esposizione all'amianto e dei relativi danni che potessero derivarne potesse configurarsi solo nel 2011, secondo l'impostazione dei ricorrenti, attribuendo il decorso della prescrizione ad epoca di molto anteriore.

La Cassazione, ripercorrendo i passaggi essenziali della pronuncia di merito, conferma l'impostazione dei giudizi veneziani circa la consapevolezza della manifestazione della malattia e del suo essere di origine professionale. Giustamente i giudici di merito hanno accertato che il deceduto, che svolgeva mansioni di macchinista di elettromotrici, doveva sapere già nei primi anni ‘90 (se non prima ancora), in base all'ordinaria diligenza, che i pannelli che foderavano le motrici fossero di amianto, così come la medesima possibilità di conoscenza deve potersi imputare agli eredi.

La Cassazione, inoltre, richiamando quanto osservato dal CTU, ha evidenziato che già nel periodo compreso tra il 1935 e il 1972 le conoscenze sulla pericolosità dell'amianto erano ben note in correlazione all'asbestosi e al cancro al polmone e che dal 1960 al 1970 si era confermato il ruolo dell'esposizione all'asbesto nella genesi del mesotelioma, con la conseguenza che dagli anni ‘80 erano state introdotte numerose norme restrittive disciplinanti il trattamento di tali materiali e alla loro lavorazione, culminate nel divieto di uso e lavorazione dell'amianto a partire dal 1992.

E, conseguentemente, almeno dal 1994, ovvero da quando questa malattia professionale è stata "tabellata", l'oggettiva diligenza avrebbe imposto in via generale di percepire le malattie da esposizione all'asbesto come malattie professionali, diretta conseguenza del comportamento del datore di lavoro che esponga il dipendente all'inalazione di polveri così pericolose da esserne vietata la lavorazione.

Il ricorso degli eredi, pertanto, è stato respinto, perché se è vero che ai fini della prova della conoscibilità dell'eziologia professionale si richiede “qualcosa in più della semplice manifestazione della malattia”, è altrettanto vero che “occorre pur sempre restare in un ambito di oggettività scientifica”, cosicché la conoscibilità dell'origine professionale della malattia, nel caso di specie, deve ascriversi ad epoca sicuramente anteriore al 2011.