PERMESSI 104 ED INDAGINI INVESTIGATIVE

Corte di Cassazione, sentenza n. 18411 del 09 luglio 2019

26-07-2019

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18411 del 9 luglio 2019, è tornata a pronunciarsi sulla delicata materia dell'abuso, da parte del lavoratore, dei permessi previsti dalla legge n. 104/1992.

La vicenda traeva origine dal licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente per aver fruito di due giorni di permesso previsti dalla legge 104 concessi per l'assistenza ad una congiunta disabile, ma che era invece emerso, a seguito dalle indagini investigative disposte dal datore di lavoro, che durante l’utilizzo dei permessi in questione l'interessato non aveva mai abbandonato il proprio domicilio e, pertanto, non poteva essersi recato presso la separata abitazione della propria congiunta per offrire assistenza.

I giudici di merito, sia in primo grado, sia in sede di appello, respingevano l'impugnazione del dipendente, ritenendo adempiuto l'onere probatorio a carico del datore di lavoro, seppur non mediante prova diretta, bensì per deduzione in base all'interpretazione combinata della relazione investigativa, confermata in sede testimoniale e alle giustificazioni orali rese dal lavoratore.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione denunciando – tra gli altri motivi – l’erronea e la falsa applicazione del principio dell'onere della prova della sussistenza della giusta causa di licenziamento, rilevando, in primo luogo, il mancato raggiungimento della piena prova relativa alla condotta contestatagli dal datore di lavoro in quanto dalla relazione investigativa risultava la mancata conoscenza esatta del numero civico corrispondente all'abitazione della persona assistita. Il medesimo, inoltre, lamentava la trascuratezza della Corte territoriale nel non aver opportunamente considerato che un'attività integrativa di investigazione fosse stata svolta in un momento successivo rispetto all'irrogazione del licenziamento. L'erronea valutazione delle risultanze probatorie, originata anche dalla mancata piena prova sul fatto contestato, avrebbe determinato, secondo il ricorrente, una fonte di incertezza sulla effettiva gravità della condotta e di conseguenza sulla proporzionalità della misura adottata.

I giudici di legittimità, tuttavia, hanno ritenuto inammissibili tutti i motivi del ricorso ritenendo esente da vizi il percorso logico argomentativo dei giudici di merito, hanno confermato la validità del provvedimento espulsivo del lavoratore, in totale accoglimento rispetto a quanto statuito dalla sentenza di merito.

In particolare, precisa la Cassazione, la corte territoriale aveva affrontato, con motivazione logicamente congrua, la questione relativa all'abuso dei permessi di cui alla legge n. 104/1992, osservando che la relazione investigativa prodotta dal datore di lavoro, confermata per testimoni e stridente rispetto a quanto affermato dal lavoratore in sede di audizione disciplinare, era perfettamente idonea a dimostrare con pienezza l'omessa assistenza per cui lo stesso fruiva dei permessi.

Sul punto appare opportuno ripercorrere gli orientamenti giurisprudenziali circa i limiti entro i quali il datore di lavoro può lecitamente controllare i lavoratori, anche usufruendo di agenzie investigative private, al fine di assicurare la corretta fruizione dei permessi di cui all'articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992.

La giurisprudenza ha confermato che i controlli del datore di lavoro riguardanti l'attività lavorativa del prestatore demandati ad agenzie investigative sono leciti ove non riguardino l'adempimento della prestazione lavorativa, essendo effettuati al di fuori dell'orario di lavoro (Cass., ordinanza del 12 settembre 2018, n. 22196) o, ancora, quando siano finalizzati alla verifica di comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolenta (Cass. sentenza del 22 maggio 2017, n. 12810; Cass. ordinanza dell'11 giugno 2018, n. 15094).