JOBS ACT: REINTEGRAZIONE ESTESA A TUTTE LE IPOTESI DI NULLITA' DEL LICENZIAMENTO

Corte Costituzioneale, sentenza n. 22/2024

01-03-2024

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 22 del 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 limitatamente alla parola “espressamente”.

Tale disposizione prevedeva che: “Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità di cui al comma 3. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale”.

La norma è stata quindi ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria nei casi di nullità previsti dalla legge, nelle ipotesi di licenziamento dei lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (quindi a partire dal 7 marzo 2015), l’ha limitata alle sole nullità sancite “espressamente” dalla legge.

La Corte di Cassazione rimettente, nel sollevare la questione, aveva censurato tale limitazione, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, per violazione del criterio di delega fissato dall’art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), deducendo che l’esclusione delle nullità, diverse da quelle «espresse», non trovasse rispondenza nella legge di delega, la quale riconosceva la tutela reintegratoria nei casi di “licenziamenti nulli” senza distinzione alcuna.

La Corte costituzionale ha ritenuto fondata questa censura, osservando in particolare che il criterio direttivo, nella parte rilevante in proposito, aveva segnato il perimetro della tutela reintegratoria del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, escludendola, in negativo, per i licenziamenti “economici”, e prevedendola, in positivo, nei casi di licenziamenti nulli, discriminatori e di specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare.

La Corte ha sottolineato che il testuale riferimento ai “licenziamenti nulli”, contenuto nel criterio direttivo, non prevedeva e, conseguentemente, non consentiva la distinzione tra nullità espresse e nullità non espresse, ma contemplava una distinzione soltanto per i licenziamenti disciplinari ingiustificati.

Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola “espressamente”, consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l’espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto, sempre che risulti prescritto un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti.