PROVA DELLA NATURA RITORSIVA DEL LICENZIAMENTO ANCHE MEDIANTE REGISTRAZIONI AUDIO NON AUTORIZZATE

Corte di Cassazione, sentenza n. 28398 del 29 settembre 2022

02-01-2023

Ha carattere ritorsivo il licenziamento motivato da un’ingiusta e arbitraria reazione del datore di lavoro, essenzialmente di natura vendicativa, a un comportamento legittimo del lavoratore e inerente a diritti a lui derivanti dal rapporto di lavoro stesso.

Solo quando tale motivo ritorsivo sia stato l’unico a determinare il licenziamento quest’ultimo deve considerarsi nullo, con diritto del lavoratore a essere reintegrato in azienda e al pagamento di tutte le mensilità dalla data del licenziamento alla data dell’effettiva reintegrazione.

L’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento è alquanto complesso e grava sul lavoratore, che può assolverlo con la dimostrazione di elementi specifici tali da far ritenere, con sufficiente certezza, l’intento di rappresaglia, determinante in via esclusiva la volontà del datore di lavoro.

Proprio a fronte del non agevole onere probatorio in capo al lavoratore la giurisprudenza ha osservato come questo possa essere assolto mediante presunzioni e registrazioni delle conversazioni ed anche, in alcuni casi, attraverso una valutazione unitaria e globale, da parte del giudice, di tutti gli elementi prodotti in giudizio per escludere la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 28398 del 29 settembre 2022, ribadisce tale orientamento statuendo che la prova della natura ritorsiva del licenziamento può avvenire anche mediante registrazioni di conversazioni avvenute tra colleghi anche se prive dell’autorizzazione dei presenti.

Secondo la Corte, infatti, è l’articolo 24 del Codice della Privacy che permette di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati personali sia necessario per far valere un diritto in sede giudiziale.