SGRAVI CONTRIBUTIVI E ONERE DELLA PROVA

Corte di Cassazione, ordinanza n. 8445 del 04 maggio 2020

13-05-2020

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 8445 del 04 maggio 2020, approfondisce il tema della ripartizione degli oneri probatori in una vicenda nata da una contestazione della pretesa contributiva dell'Inps da parte dell’azienda a seguito di opposizione a cartella di pagamento emessa dall’Istituto.

La questione posta all'attenzione della Corte riguardava proprio la valenza e la forza del corredo probatorio a sostegno della pretesa contributiva in presenza di un verbale di accertamento e delle dichiarazioni raccolte nell'immediatezza dei fatti, come nel caso di specie, rispetto alle prove documentali fornite dal datore di lavoro.

Nelle vicende che riguardano la contribuzione previdenziale è noto che i verbali ispettivi fanno piena prova fino a querela di falso dei fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ivi compresa l'esistenza e provenienza delle dichiarazioni raccolte a verbale. Tale valenza probatoria non si estende però alle deduzioni in diritto o valutazioni dell'ispettore, o ai fatti che non siano direttamente percepiti o "fotografati" dallo stesso, ma che derivino da dichiarazioni di terzi o da altri fatti non personalmente conosciuti.

Tuttavia, rispetto a questi elementi, la Cassazione precisa che il difetto di un'efficacia privilegiata non implica la loro irrilevanza da un punto di vista probatorio. In particolare, il giudice può considerare tale materiale probatorio prova sufficiente, qualora lo specifico contenuto o il concorso di altri elementi rendano superfluo l'espletamento di ulteriori mezzi istruttori.

Con riferimento, inoltre, alla corretta ripartizione degli oneri probatori nei giudizi di opposizione a cartella di pagamento (o ad avviso di addebito) per il pagamento di contributi o premi, l'ente previdenziale, benché convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale (in quanto rivendica la pretesa contributiva contestata in sede ispettiva), e quindi su di lui incombe l'onere di provare gli elementi a sostegno della rivendicazione. Ma questo, ancora una volta, non significa che il convenuto in senso sostanziale (ricorrente in opposizione) non sia gravato dell'onere di provare le circostanze eccettuative dell'obbligazione contributiva, cioè le circostanze in base alle quali si ricadrebbe nell'ambito di una deroga dell'onere contributivo ordinariamente previsto.

Anche nel caso di ricorsi per accertamento negativo, ossia di quei ricorsi con i quali si chiede una pronuncia che accerti la non debenza di quanto preteso dagli Istituti previdenziali con i propri verbali di accertamento, la giurisprudenza, nonostante un orientamento iniziale di segno contrario, ha ribadito il principio per cui l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso e intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo; è l'istituto previdenziale a dover dimostrare i fatti costitutivi del proprio credito, ancorché sia stato convenuto proprio in un giudizio di accertamento negativo (si veda Cassazione 14965 del 6 settembre 2012).

Tale regola incontra però un'importante eccezione nel caso in cui la rivendicazione da parte del datore di lavoro riguardi il diritto a godere di benefici o sgravi contributivi. In questo caso, costituisce un principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui in tema di sgravi contributivi e di fiscalizzazione degli oneri sociali, grava sull'impresa che vanti il diritto al beneficio l'onere di provare la sussistenza dei necessari requisiti, in relazione alla fattispecie normativa di volta in volta invocata.

Poiché lo sgravio contributivo integra di fatto un mancato versamento dei contributi, non è l'istituto previdenziale che deve provare la carenza dei requisiti per fruire dello sgravio, ma è il datore di lavoro che deve provare la sussistenza di tutti gli elementi che giustificano l'esonero dal versamento dei contributi, altrimenti dovuti (vedasi anche Cassazione n. 1157/2018).