VIOLAZIONE PRIVACY: DIRITTO DEL LAVORATORE AL RISARCIMENTO

Corte di Cassazione, ordinanza n. 14242 del 4 giugno 2018.

28-06-2018

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14242/2018, statuisce che si configura in capo al datore di lavoro l’obbligo automatico di risarcire il dipendente che ha subito un danno non patrimoniale causato dalla violazione delle norme poste a tutela della privacy per il trattamento dei suoi dati personali.

La vicenda traeva origine da un ricorso proposto dal dipendente di un’agenzia delle Dogane e dei Monopoli al Garante della Privacy, a seguito della divulgazione, utilizzando il protocollo ordinario, di una sua vicenda giudiziaria che ne determinava il trasferimento in un altro ufficio. Il Garante della Privacy rigettava le pretese del lavoratore, così il predetto si rivolgeva al Tribunale che, diversamente, ne accoglieva il ricorso stabilendo oltretutto un risarcimento del danno non patrimoniale sofferto.

La Corte di Cassazione conferma la sentenza di primo grado e rigetta il motivo proposto dall’Agenzia delle Dogane, vertente sulla mancata prova del danno non patrimoniale subito.

Gli Ermellini precisano che il giudice investito della questione deve verificare che l’utilizzo dei dati del dipendente, da parte del titolare o di altri soggetti, avvenga in modo illecito e scorretto e determini allo stesso una lesione grave e un danno serio. Una volta accertata tale lesione, le conseguenze dannose non patrimoniali sono automaticamente esistenti. Il giudice adito deve, quindi, disporre il risarcimento del danno basandosi sulle allegazioni del danneggiato o, in mancanza, in via equitativa. 

La Suprema Corte stabilisce, però, che il titolare del trattamento o il danneggiato sono esenti da responsabilità se dimostrano l’irrilevanza o l’inesistenza del danno cagionato, tanto più se il lavoratore ha tratto vantaggio dalla diffusione dei dati.