CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI: LICENZIAMENTO PER MOTIVI ECONOMICI E RICOLLOCAZIONE

Decreti legislativi n. 23/2015 e n. 81/2015 attuativi del Jobs Act

05-10-2015

La riforma del diritto del lavoro, apportata con la legge n. 183 del 2014 c.d. Jobs Act e i relativi decreti attuativi, ha introdotto numerose novità, tra cui di particolare interesse sono:

  • il contratto a tutele crescenti, che in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo, non prevede più la reintegrazione del posto di lavoro;

  • la nuova formulazione dell’art. 2103 c.c. che prevede, in caso di modifica degli assetti aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, che egli possa essere assegnato a mansioni equivalenti, ossia appartenenti al medesimo livello di inquadramento, ma anche a mansioni riconducibili al livello inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.

Orbene, sul datore di lavoro gravano obblighi di ricollocazione, il c.d. repechage, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (per es. la crisi d’impresa, cessazione dell’attività, venir meno della mansione cui è assegnato un lavoratore) che, sebbene indirettamente, hanno subito profonde variazioni a seguito delle due modifiche sovraesposte.
Infatti, a norma dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, parte datrice ha l’onere di provare l’effettività delle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione e regolare funzionamento di essa, addotte a fondamento del licenziamento.
Inoltre, la giurisprudenza consolidata ha attribuito un altro obbligo per il datore, ovverosia quello di provare l’assenza di mansioni alternative rientranti nel medesimo livello di inquadramento cui adibire il lavoratore all’interno dell’azienda.
Il d. lgs. n. 81 del 2015, modificando come esposto l’art. 2103 c.c., ha esteso la portata di quest’ultima verifica allargando l’ambito di indagine della ricollocazione ad altre mansioni anche di livello inferiore.
Emerge a questo punto, con l’introduzione della contrattazione a tutele crescenti del d. lgs n. 23 del 2015, un diverso trattamento tra i “vecchi assunti”, ovvero chi ha iniziato il lavoro prima dell’entrata in vigore del decreto nominato, e i “nuovi assunti a tutele crescenti” cui non sarebbe estensibile la portata della modifica all’art. 2103 c.c.
Infatti, se originariamente la tutela al mantenimento del posto di lavoro dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevaricava quella dell’art. 41 della Costituzione al valore dell’iniziativa economica, prevedendo la reintegrazione nel posto di lavoro per tutti i licenziamenti intimati senza giusta causa o giustificato motivo (soggettivo e oggettivo), con la riforma Fornero, legge n. 92 del 2012, si è assistito ad una sua riduzione di portata: il lavoratore ha diritto alla reintegra solo in caso di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, prevedendo per le altre ipotesi (giusta causa e motivo soggettivo) il solo indennizzo (dalle 12 alle 24 mensilità calcolate sull’ultima retribuzione di fatto).
Il d. lgs. n. 23, abolendo all’art. 3, co. 1, la tutela in forma specifica della reintegra per il lavoratore licenziato per illegittimo motivo oggettivo, capovolge la prevalenza dell’art. 41 della Costituzione rispetto alla stabilità occupazionale.
Infatti, dice la norma, esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria.
Concludendo, il legislatore ha ritenuto come non più prioritario il mantenimento del posto di lavoro in caso di licenziamento per motivi economici.