IL GIUDICE PUO' DEROGARE ALLA GIUSTA CAUSA DI LICENZIAMENTO PREVISTA NEL CCNL

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ordinanza n. 6606 del 16 marzo 2018

05-04-2018

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 6606/18, statuisce che la giusta causa di licenziamento dei contratti collettivi nazionali rappresenta una mera nozione legale esemplificativa, che non vincola il giudice nella decisione delle controversie.

L’organo giudicante, infatti, alla luce delle circostanze concrete che hanno indotto il lavoratore ad assumere una condotta inadempiente o contraria alle norme di normale convivenza civile o etica, può applicare la giusta causa di licenziamento, anche in assenza di una previsione specifica nel contratto collettivo. Allo stesso modo, il giudice può escludere la giusta causa di licenziamento prevista nel contratto collettivo, dopo aver valutato le circostanze concrete che hanno indotto il comportamento inadempiente. Tale potere è, però, soggetto ad un limite: le norme riguardanti le fattispecie di giusta causa presenti nel contratto collettivo possono essere derogate solo in meglio. Pertanto, qualora sia prevista una sanzione conservativa, il giudice non può applicare il licenziamento per giusta causa, nemmeno in presenza di comportamenti astrattamente configurabili.

La vicenda trae origine da un ricorso presentato da un capotreno che, a seguito di contestazione disciplinare, veniva licenziato per giusta causa per essersi trattenuto nella cabina di guida con il macchinista ordinandogli la partenza, in mancanza dei presupposti necessari, e per aver turbato la regolarità della circolazione, provocando un disservizio alla clientela.

Il Tribunale e la Corte d’Appello confermavano il licenziamento per giusta causa sulla base della normativa aziendale che, oltre a prevedere quali compiti del capotreno le ordinarie funzioni di assistenza ai passeggeri e di controllo dei biglietti, specifica la sua presenza in cabina di guida solo in caso di guasti o anomalie del sottosistema di bordo. Per di più, i giudicanti evidenziavano che le eccezioni sulla sproporzionalità della sanzione venivano proposte tardivamente.

La Suprema Corte accoglie parzialmente il ricorso del lavoratore e, rinviando alla Corte di Appello competente, osserva che i rilievi sulla sproporzione tra inadempimento e sanzione disciplinare sono delle mere difese argomentative, non soggette a termini e, quindi, deducibili in ogni grado di giudizio.